Le origini della bandiera siciliana risalgono al XIII secolo, ma i suoi simboli sono di età ancora più antica. E’ rappresentata infatti da una “triscele” – meglio conosciuta come “trinacria” – ed un “gorgoneion“. La trinacria, (comparsa per la prima volta in alcune monete usate a Siracusa nel III secolo a.C.) le cui origini sarebbero “indoari”, raffigura un essere con tre gambe, mentre il gorgoneion, il volto posto al centro della bandiera, è chiaramente di stampo greco: questo simbolo rappresenta la testa di un mostro mitologico, la Gorgone, spesso identificata con il volto di Medusa, con i serpenti al posto dei capelli e con il potere di pietrificare con lo sguardo chi la guardava. Con l’arrivo dei Romani furono aggiunte alla testa delle spighe, simbolo di fertilità. Le tre gambe poi indicherebbero la conformazione geografica dell’isola con i suoi tre promontori – Capo Lilibeo, Capo Peloro e Capo Passero.
Secondo una leggenda la nascita dei cannoli sarebbe avvenuta a Caltanissetta, “Kalt El Nissa”, in arabo “Castello delle donne”, a quei tempi sede di numerosi harem di emiri saraceni.
L’odierno cannolo siciliano avrebbe dunque antiche origini, anche se nei secoli ha subìto diverse trasformazioni, e il suo antenato potrebbe essere stato un dolce a forma di banana, ripieno di ricotta mandorle e miele.
Alberi di gelsi a perdita d’occhio, bachi, bozzoli e filande. Per molti secoli fu la via della seta in Sicilia. Da Palermo a Messina, lungo la costa settentrionale dell’isola fino a un tratto della riviera ionica. Merito del clima e di corsi d’acqua rigogliosi. Un’arte antica quella della filatura, tessitura e ricamo, di cui molto è andato perduto ma qualcosa si tramanda ancora grazie alla passione e l’intraprendenza di un gruppo di donne e uomini.
Celebriamo le feste senza sapere più perché. Nell’affanno dei regali da comprare, dell’organizzazione dei viaggi, dei pranzi e delle cene da preparare. Chissà quanti di noi, gustando la cuccìa, assaporando un buccellato, una sfincia di San Giuseppe o un frutto di pasta reale si ricordino più perché quei “cibi dei santi” sono nati. E come attraverso i secoli siano arrivati fino a noi. Ogni preparazione racconta eventi, vicende e riti che affondano nel nostro passato più antico e ci raccontano di bisogni e spiritualità che sarebbe meglio oggi non dimenticare.
Mimmo Cuticchio è l’anima stessa di un’arte diventata patrimonio dell’umanità. E’ bello ripercorrere la storia di quest’uomo-icona, vedere la sua faccia scavata dalle rughe, la sua barba diventata bianca, adesso che Palermo è stata nominata Capitale della cultura per il 2018. Come se qui, nel suo teatrino di via Bara all’Olivella, abitasse un tassello fondamentale di quell’identità profonda che ha decretato il successo di Palermo tra le altre città candidate. Palermo dell’itinerario Unesco arabo-normanno, Palermo accogliente e multiculturale, Palermo dello sfarzo barocco, Palermo di Serpotta. E Palermo di Mimmo Cuticchio, l’uomo che con il suo cunto ha incantato francesi e americani, spagnoli e russi. Il cunto è così diventato grazie a lui un linguaggio comprensibile a tutti, trasferendo il valore e il senso profondo di un’arte che rischiava di scomparire, l’Opera dei Pupi.
Nel giorno di Santa Lucia da Siracusa, che vorrebbe il digiuno dei devoti, l’eretico è chi non mangia l’arancina. O meglio chi non fa una vera e propria scorpacciata di palle di riso. A Palermo è la giornata dell’odore di fritto nell’aria. Lo senti arrivare fuori dalle rosticcerie, ma anche dalle abitazioni di chi prepara in casa il simbolo della festa. Nel capoluogo siciliano l’arancina sta a Santa Lucia come la colomba sta a Pasqua o come il panettone sta a Natale.
Quante volte siamo passati da Piazza Vigliena, più nota come i “Quattro Canti”? Avete mai fatto caso alle sculture rappresentate nei tre ordini architettonici? Oltre alla rappresentazione allegorica delle quattro stagioni e ai quattro sovrani spagnoli, proprio sul terzo ordine si possono osservare le sculture di quattro donne, le quattro sante protettrici dei quattro mandamenti di città: Agata, Cristina, Ninfa e Oliva. Ma chi erano veramente queste donne, eroine della fede, la cui devozione è andata affievolendosi nel corso dei secoli fino a scomparire del tutto? Donne prima di tutto, in un tempo in cui la figura femminile era fortemente relegata nelle retrovie della società. Eroine e martiri di una società gretta e ottusa che ha fatto pagare con la vita le loro scelte personali in tema di fede. E questo a prescindere dalle leggende e dai racconti mitici che sicuramente hanno avvolto e contornato le loro storie reali. Ma andiamo brevemente a conoscerle più da vicino una per una.
Pasqua è una delle festività religiose più importanti e sentite in Sicilia che combina i momenti più significativi della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo ai rituali folcloristici, a volte attraverso forme drammatiche e teatrali che spesso si riproducono in espressioni strutturate e complesse, simbolo della rinnovazione totale del cosmo. Ciò che più risalta è la partecipazione attiva della gente che si manifesta non solo nelle processioni e pellegrinaggi, ma anche nell’alternanza di sentimenti tristi per la morte di Cristo a quelli allegri e gioiosi per la sua resurrezione.
Vino dorato dai riflessi ambrati e dal sapore delicatamente dolce quasi mielato, la malvasia fu detta “nettare degli dei”. Il vitigno malvasia viene importato dai primi colonizzatori greci intorno al 588 a.C. nell’isola di Salina, dove il terreno di origine vulcanica ben arieggiato e ventilato è posto a trecento metri sul livello del mare. Il nome deriva da un porto del Peloponneso, Monemvasia, scalo di grande importanza per le rotte commerciali tra Oriente e Occidente e per questo lungamente conteso tra Cinquecento e Seicento da Turchi e Veneziani.
Un tuffo nel passato nel cuore di Palermo: all’interno dei saloni settecenteschi di Palazzo Torre Piraino di via Garibaldi si trova la casa-museo Stanze al Genio, nata nel 2008 con l’obiettivo di rendere fruibile al pubblico una raccolta di mattonelle antiche collezionate in oltre trenta anni e tuttora in crescita.